venerdì 30 novembre 2007

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Uno pensa che la propria vita sia rimasta confinata in uno spazio troppo angusto. Una cittadina di poche migliaia di abitanti, una casa tanto anonima che si fa fatica a riconoscerla quando ci si torna, un televisore con le notizie dal mondo. Gli stessi pensieri tutti i giorni e un tono di grigio che sembra soffiato col vaporizzatore per come riesce a stendersi omogeneamente su tutto. Cosi’ uno pensa che lasciando la propria casa sia possibile trovare una via di scampo, aprirsi a quello che c’e’ fuori e diventare piu’ grandi e dare senso al fatto che in qualche modo si e’ ancora vivi, un senso che non sia un vero e proprio significato ma soltanto qualcosa d’imprevisto, di estraneo alle geometrie degli spazi angusti. Un incontro, magari. Una ragazza che ti sorride come fosse nata in quel preciso istante. Poi uno si chiede perche’ mai una cosa del genere dovrebbe essere cosi’ potente da cambiarti la vita e la risposta e’ no, non la cambia affatto. E se anche la cambiasse, il cambiamento sarebbe solo una questione di densita’: stesso spazio angusto, ma con una persona in piu’ che invece di sorriderti come fosse appena nata ti lancia occhiate piene di risentimento. Pero’ uno pensa pure che non e’ mica detto, che non sta scritto da nessuna parte che gli incontri devono finire tutti allo stesso modo, ma se pure fosse, perche’ farsi dei problemi su come andra’ a finire, quando a quello ci pensano gia’ le cose e gli amori? A finire cioe’. Quand’e’ cosi’, a uno viene da pensare che tutto sommato valga comunque la pena di partire. Di provare.

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(un amore dell’altro mondo - Tommaso Pincio)

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